Serve una medicina personalizzata. Non la quantità ma “esiti di salute”

Si è perso l’universalismo della cura. Oggi metà delle visite specialistiche e un terzo della diagnostica ambulatoriale sono pagati privatamente. Vanno ridotte le differenze di accesso tra pazienti

di Paolo Petralia, Vicepresidente vicario di Fiaso

L’antivigilia di Natale il nostro Servizio sanitario nazionale ha compiuto 45 anni: ed è sin troppo scontato interrogarsi su quale potrà essere il suo futuro, tra invecchiamento della popolazione e risorse in calo, tra diminuzione del personale e aumento dei costi di produzione. I dati epidemiologici – per noi che siamo abituati a misurare tutto – indicano con chiarezza la traiettoria: nel 2049 il numero di decessi potrebbe doppiare quello dei nuovi nati; nel 2050 il 35 per cento degli italiani avrà più di 65 anni; il 32 per cento di questi avrà gravi patologie croniche e multimorbilità; 10,2 milioni di persone vivranno da sole… Tutto questo senza parlare delle risorse, ancorate ad un sei per cento circa del Pil che troppi economisti ci dicono essere un modo insufficiente di valutarne l’adeguatezza.

E allora? Che fare? I manager delle aziende pubbliche italiane da tempo hanno condiviso la necessità urgente di cambiare rotta: serve un riposizionamento degli assetti regolatori e gestionali-organizzativi in grado di restituire al nostro sistema la capacità di preservare i suoi principi fondamentali: garantendo la domanda, programmando l’offerta e valutando gli esiti […].

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